Livio Senigalliesi
Photoreporter

Uganda – La guerra dei bambini

Cronaca

NORD UGANDA
testo di Livio Senigalliesi tratto dal libro di memorie “Diario dal Fronte”.

Li chiamano “Olum” dal nome dell’erba alta che ricopre la savana e dove i bambini-soldato si appostano prima di colpire. Circondano i villaggi Acholi senza essere visti e quando cala la notte inizia la scorribanda fatta di violenze, sangue e di procacciamento di cibo.
All’alba i corpi degli adulti del villaggio giacciono squartati sulla terra rossa. I bambini sopravvissuti alla mattanza vengono legati per il collo, uno all’altro, come schiavi e portati verso nord dalla banda di bambini-soldato.
Chi si ribella e cerca di fuggire viene ucciso dai sui stessi compagni di sventura.
Così inizia una vita infernale che trasforma la loro infanzia in un incubo.
Chi resiste alla marcia forzata viene indottrinato secondo i principi dell’LRA (Lord’s Resistance Army).
I ragazzini diventano guerriglieri, le bambine schiave sessuali dei capi.
I feriti e le ragazze incinta vengono abbandonati nella savana. Non c’è tempo di aspettare.
Il gruppo si muove in fretta nella savana, come un branco di iene.

Sangue chiama sangue e spesso i bambini catturati vengono costretti ad uccidere i loro genitori per recidere una volta per tutte il legame con la famiglia e con il villaggio.
Il loro leader Josef Kony comanda da lontano le sue bande con il telefono satellitare, nascosto nella base in sud Sudan, protetto dal governo di Kartoum.
Malgrado sia ricercato per crimini di guerra e abbia rovinato la vita di una generazione di giovani Acholi, ucciso, stuprato e distrutto villaggi negli ampi territori del nord Uganda, Sudan e nord del Congo, nessuno ha mosso un dito per catturarlo.
Le uniche notizie che si sanno di lui, si raccolgono dai giovani guerriglieri feriti e fatti prigionieri dall’esercito ugandese.

Nel centro di recupero per bambini-soldato di Lira, gestito da Els De Tennermann, mi è capitato di conoscerne alcuni. I più sono traumatizzati e non vogliono parlare con estranei.
Vivono in un loro mondo ed il recupero alla vita normale è difficile.
Grace, 17 anni, incinta di 8 mesi, acconsente ad una breve intervista. Si siede su una panca e risponde in inglese alle mie domande. E’ stata una delle schiave sessuali di Kony.
Tra le lacrime ricorda: “Quando ci hanno catturato ho cercato di fuggire e per punizione mi hanno frustato e mi hanno piantato un pugnale nella mano”. Tutto il suo corpo è pieno di cicatrici, come quello di una giovane leonessa che ha lottato e ucciso prede nella savana.
Guarda per terra e ammette di avere ucciso altri compagni che tentavano la fuga e partecipato a decine di scorribande. “Colpivamo nel buio, senza pietà. L’unico nostro obiettivo era fare bottino”.
Il colloquio è breve. Gli faccio un’ultima domanda a bruciapelo: “Hai passato nove anni nella guerriglia. All’inizio eri solo una bambina, come hai imparato ad uccidere?”. La sua risposta mi lascia impietrito: “La fame ti insegna a sparare dritto”.

All’alba del giorno successivo un camion militare si ferma davanti alla Missione e scarica un gruppo di giovani guerriglieri fatti prigionieri nella notte durante una operazione di rastrellamento dell’esercito ugandese. Sono piccoli, sporchi, feriti, ricoperti dalla stessa argilla rossa del terreno.
Sono impauriti, hanno i piedi piagati. Sono scheletrici e disidratati a causa delle marce forzate. Vengono dal confine col Sudan. Hanno bevuto la loro stessa urina per sopravvivere.
Un sorriso di Els li rassicura. Per ultimo viene scaricato dal camion dell’esercito un ragazzo ferito. E’ duro e rigido come un tronco. I soldati lo gettano a terra e ripartono. Mi avvicino al giovane che sembra morto, poi Padre Elio dice: ”Ha il tetano, le ferite sono infette e se non ci muoviamo muore”.

In un attimo lo carichiamo sulla jeep, salutiamo Els e iniziamo una corsa folle lungo la pista in terra battuta che porta a Gulu, dove sorge il Lacor Hospital, l’unico ospedale nell’arco di 300 chilometri di savana. Attraversiamo a tutta velocità 100 chilometri di ambiente ostile per raggiungere la salvezza.
Tutt’intorno “olum” a perdita d’occhio e il pensiero che l’erba elefante possa celare gruppi armati mi fa accapponare la pelle. I nervi sono tesi. Ogni tanto do un sorso d’acqua al ragazzo. Ha profonde ferite d’arma da fuoco alle gambe. Brucia per la febbre, sembra in coma e sarà un miracolo se raggiungerà vivo Gulu.
Padre Elio guida come Nuvolari e raggiungiamo l’ospedale prima del tramonto. Il ragazzo viene portato in terapia intensiva ma le speranze di vita sono scarse. Il tetano non perdona.

Le corsie dell’ospedale sono piene di profughi e di feriti. Da vent’anni si è sviluppato in tutta la zona il fenomeno dei “night commuters”. Un’intera generazione é cresciuta facendo la spola ogni giorno dal suo villaggio al Lacor Hospital per salvarsi dalle incursioni notturne dell’LRA (1).
Verso il tramonto colonne di giovani guidano i più piccoli verso il cancello della Missione Comboniana. Sono circa 18.000, un numero incredibile. Portano solo una stuoia e qualcosa da mangiare. Riempiono ogni spazio libero: i giardini, i corridoi e le stanze dei malati. Non si sa dove mettere i piedi.
Alle prime luci dell’alba gli sfollati ripartono e tornano ai loro villaggi sperando di trovare in vita i loro cari che sono rimasti per prendersi cura delle capanne, degli armenti e dell’orto.

Una mattina, all’alba, Padre Elio mi chiama e mi dice che il villaggio di Pagac è stato attaccato. Partiamo a tutta velocità. Ci sono morti da seppellire e feriti da portare all’ospedale. La voglia di dare una mano ha il sopravvento sulle foto.
Quando giungiamo a Pagac restiamo senza parole. Capanne incendiate, cadaveri riversi sul terreno fatti letteralmente a pezzi a colpi di machete, donne in lacrime che piangono i morti mentre i bambini sono stati rapiti dalla banda che ha assalito il villaggio.
Questa è la realtà da cui fuggono profughi senza nome in cerca di un futuro.
Poi – se riescono a raggiungere tra mille peripezie le nostre coste – c’è chi ha il coraggio o la sfacciataggine di respingerli o di chiuderli in un CIE.

Note:
(1) LRA: Lord’s Resistance Army), attivo dal 1987 è un gruppo di guerriglieri di matrice cristiana, che opera principalmente nel nord dell’Uganda, nel Sudan del Sud, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana.

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