Di Massimo Nava Editorialista del Corriere della Sera
Ci sono cose della guerra che restano scolpite nella memoria e nel cuore. Non parlo delle cose ovvie di ogni guerra – il sangue, i massacri, i lamenti, il tonfo assordante delle bombe, i corpi martoriati, le distruzioni – ma di quelle, particolari ed emblematiche, che a distanza di anni continuano a suscitare domande sulla natura dell’uomo e sulla sua straordinaria capacità di volere il male dei propri simili. Anche gli animali uccidono, ma lo fanno per fame o per legittima difesa. Gli uomini non hanno istinto, ma usano – a volte, è il caso di aggiungere purtroppo – il cervello. Ogni guerra è terribile, ma quella di cui sono stato testimone, assieme a Livio, è di una specie particolare, perché uomini e donne trascinati nel baratro vivevano in pace e insieme fino al giorno prima e continuarono, anche nei giorni più orrendi, a pensare al vicino di casa rimasto dall’altra parte della barricata.
L’hanno chiamata guerra civile, guerra etnica, guerra religiosa, guerra per l’indipendenza o per l’espansione di uno stato rispetto agli altri stati, ma è stata soprattutto una vendetta della storia, come se le vittime dei massacri dei secoli precedenti fossero uscite dalle tombe per vendicarsi. La storia, nei Balcani, è un circolo infernale, dove le generazioni sembrano periodicamente condannate a tornare al punto di partenza. Noi, cronisti di questo orrore, provavamo ad ascoltare i torti degli uni e le ragioni degli altri e finivamo per sentirci ripetere le stesse cose, a parti rovesciate, a pochi chilometri di distanza. Fu così a Zara, a Dubrovnik, a Vukovar, a Sarajevo, nelle Krajne, a Mostar, a Belgrado e infine a Pristina, dove tutto in fondo era cominciato, tanti secoli fa. Questo non significa, nella diagnosi storica, confondere le responsabilità, che furono tante, diverse e che, a distanza di tempo, possono essere ridefinite in una gerarchia. I calcoli cinici delle classi dirigenti serbe e croate non sono equivalenti ai loschi opportunismi dei kosovari indipendentisti o alle bellicose velleità bosniache, ma, alla fine, ci fu in tutti la tendenza a vedere il nemico anche dove non c’era, e persino in casa propria, alimentando così la spirale dell’odio.
Tutto questo ha provocato distruzioni e sofferenza infinita. Ed è questa sofferenza infinita, totale, distribuita a piene mani e in modo indistinto, che Livio ha documentato in questi anni, accompagnandomi tante volte nei miei reportage. Lo ha fatto in modo eccellente, con l’aiuto della tecnica e del mestiere, ma soprattutto con una sensibilità personale che è la qualità indispensabile affinchè le immagini parlino, raccontino e rimangano nei cuori di chi le osserverà, oggi e per sempre. Sono queste le cose della guerra, di questa guerra assurda, che non si dimenticano, poiché la definiscono e aiutano a comprenderla.
Mostar / BIH 1995 – Vivere tra le macerie.
Mostar / BIH 1995 – Una donna resta impigliata nel filo spinato posto sulla passerella che sostituisce l’antico ponte distrutto.
Mostar / BIH 1995 – Una casa in prima linea lungo il boulevard, il viale che divideva le postazioni croate da quelle bosniache.
Mostar / BIH 1993 – Combattimenti casa per casa lungo il boulevard, il viale che divide le postazioni croate da quelle bosniache.
Manjaka / Republika Srpska 1994 – Una rara immagine del campo di concentramento. Ero al seguito di una missione della Croce Rossa. Fummo rudemente respinti dai soldati serbo bosniaci.
Sarajevo / BIH 1994 – L’antica biblioteca distrutta dall’artiglieria dell’esercito serbo bosniaco.
Zagabria / Croazia 1992 – Un muro dedicato alle vittime di Vukovar.
Osijek – Croazia 1991 – Funerale di un soldato croato appartenente alla Brigata Internazionale.
Vukovar / Croazia nov.1991 – Dopo 87 giorni di pesante assedio, la città cadde nelle mani dell’Esercito Jugoslavo e dei paramilitari serbi. Nella foto alcuni profughi in fuga.
Benkovac / Krajina / Croazia 1991 –
Immagine simbolo della fine della Jugoslavia di Tito. Un libro dedicato al fondatore della Jugoslavia viene gettato nel fango durante il saccheggio di Benkovac operato da bande di paramilitari serbi.
Vukovar / Croazia 2011 – Nello stesso incrocio 20 anni dopo. Immagini tratte dal mio libro “Balkan”.
Vukovar / Croazia 2010 – Cimitero di guerra che raccoglie le vittime croate cadute durante l’assedio operato da JNA e paramilitari serbi dall’agosto al novembre del 1991.
Belgrado / Serbia 2011 – L’immagine di Tito in vendita ad un mercato dell’usato alla periferia di Belgrado.
Pristina / Kosovo 2008 – La simbolica statua della Liberta’, posta sul tetto di un albergo ed uno stormo di corvi neri dominano il panorama del centro di Pristina.
Pristina/Kosovo 2008 – Manifestazione per l’indipendenza indetta dalla popolazione di etnia albanese.
Pec / Kosovo 1999 – Anziano serbo ferito da estremisti albanesi ha trovato rifugio nell’antico monastero ortodosso.
Gorazdevac / Kosovo 2007 – Enclave serba sotto la protezione del contingente italiano della KFOR.
Kosovo 31 marzo 1999 – Profughi kosovari di etnia albanese in fuga verso l’Albania.
Stenkovec / Macedonia maggio 1999 – Campo di raccolta per profughi kosovari di etnia albanese.
Pristina / Kosovo 25 marzo 1999 – Edifici colpiti dalle bombe e dai missili della NATO nel centro di Pristina.
Basso Adriatico aprile 1999 – Un F-18 impegnato nell’operazione Allied Force decolla dalla portaerei americana USS Dwight Eisenhower.
Skenderay / Kosovo – giugno 1999. Dopo l’invasione del Kosovo da parte delle truppe della Nato, i guerriglieri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo hanno ripreso possesso militare del territorio operando vendette indiscriminate nei confronti dei serbi rimasti.
Djakovica / Kosovo ago.1998 – Un kosovaro di etnia albanese mostra la fotografia del figlio scomparso.
Rugovo / Kosovo 29 gen.1999 – Cadaveri di guerriglieri dell’UCK uccisi in uno scontro a fuoco con reparti dell’esercito jugoslavo.
Blace / Confine Kosovo Macedonia 1999 – Dopo l’inizio dei raid della NATO le truppe jugoslave deportano migliaia di kosovari verso il confine macedone.
Likoshan / Drenica / Kosovo 28 feb 1998 – Una delle vittime di etnia albanese uccisa nel primo scontro a fuoco con reparti dell’esercito jugoslavo.
Confine Kosovo Montenegro 1998 – Crisi umanitaria nella regione del Dukajin. A causa dei combattimenti
tra UCK e forze jugoslave, un enorme numero di profughi trovò rifugio sulle montagne.
Cirez / Drenica / Kosovo 28 feb. 1998 – Funerale collettivo delle prime vittime di etnia albanese cadute durante uno scontro a fuoco con reparti dell’esercito jugoslavo nel villaggio di Likoshan.
Podujevo / Kosovo feb.1999 – Carri armati dell’esercito jugoslavo avanzano nella zona controllata dall’UCK.
Rugovo / Kosovo feb.1999 – Nello scontro a fuoco tra UCK e truppe jugoslave rimasero uccisi 24 guerriglieri e tre soldati jugoslavi.
Srebrenica / Republika Srpska 9/1995
Una rara immagine del centro di Srebrenica dopo la conquista dell’enclave da parte dell’esercito serbo bosniaco. In primo piano il minareto della moschea distrutto.
Sarajevo / BIH 1996 – Veduta della città distrutta.
Sarajevo / Bosnia 18 marzo 1996
Un abitante del quartiere serbo di Grbavica cerca di salvare la casa dalle fiamme.
Sarajevo / BIH 18marzo 1996 – Per effetto degli accordi di Dayton i quartieri serbi della capitale passano sotto il controllo dei musulmani. Alcuni abitanti del quartiere di Grbavica annegano nell’alcool la rabbia e la delusione.
Sarajevo / Bosnia 1994 – Alcuni civili attraversano un incrocio sotto il tiro dei cecchini nei pressi del ponte di Skenderija.
Sarajevo / Bosnia 1994 – Un cartello all’angolo di una strada segnala il pericolo di cecchini.
Gorazde / Bosnia 1995 – Enclave protetta dall’ONU circondata dall’esercito serbo bosniaco. Profughi ospitati in una scuola.
Doboj / Republika Srpska 1995 – Durante il cessate-il-fuoco.
Sremska Raca / confine Bosnia-Serbia agosto 1995 – Donne a bambini a bordo di un carro. Fanno parte di una colonna di centomila profughi serbi in fuga dalla regione della Krajina a causa dell’offensiva dell’esercito croato denominata ‘Tempesta’.