testo di Livio Senigalliesi tratto dal libro “Diario dal fronte”
“Non c’è altra realtà che il dolore, non c’è altra realtà della sofferenza. Dolore e sofferenza sono in ogni goccia d’acqua, in ogni filo d’erba, in ogni grano di cristallo, in ogni suono di voce viva, nel sonno e nella veglia, nella vita, prima della vita e forse anche dopo la vita”. Con le parole del grande Ivo Andric (1) inizio un capitolo molto speciale cui è legato un pezzo della mia vita.
Nella terra degli Slavi del Sud, al di là dell’Adriatico, ho vissuto dieci anni in prima linea e ne porto ricordi indelebili ed incubi fatti di urla, sangue, lacrime e sorrisi. Un legame profondo e senza fine con una terra piena di Storia, dai Bogumili ai giorni nostri. Una terra ricca di passioni forti e tradizioni che spesso ci affascinano al cinema ma che nella realtà quotidiana non riusciamo a comprendere. Una terra dove odi e rancori antichi alimentano i conflitti moderni.
Una vicenda a cui sarò per sempre legato anche per i rapporti umani stabiliti negli anni passati con valenti interpreti sui vari fronti. Con Dario, Belma, Fuad, Srdjan, Irina, Jeta, Oliver ho condiviso tutto. Tra noi c’è tuttora un’amicizia particolare. A loro devo la comprensione dei fatti e del contesto e per un giornalista questo è tutto. Le fotografie vengono dopo.
A loro devo la vita, la condivisione di una minestra calda, un rifugio sicuro per la notte, il confor to nei momenti difficili. La guerra non è fatta solo di eroi. E’ fatta di gente normale e di piccoli criminali a cui la guerra ha dato l’opportunità di fare bottino e di uccidere su larga scala senza rischiare la galera.
Quando tira aria di guerra i primi a fiutarla sono quelli che popolano l’underground criminale. Più sensibili ai movimenti sotterranei, capaci di usare le armi, sanno quando il terremoto è in arrivo e sono in grado, talvolta, di giovarsi del disastro. Così è accaduto a Sarajevo quando, il 5 aprile del 1992, la città sprofondò nell’assedio. Senza un esercito, la città cercava qualcuno che la difendesse e ad approfittare della situazione fu Mušan “Caco” Topalović (2), trafficante e assassino, capace di formare una propria brigata autonoma alle dirette dipendenze della famiglia Izetbegovic.
Lo stesso vale per Arkan – famigerato comandante dei paramilitari serbi -, ma pure per Naser Oric – criminale bosniaco – e Ramush Haradinaj, leader kosovaro dell’Uçk, un criminale con ambizioni politiche, troppo potente per essere condannato dal Tribunale de L’Aja.
La guerra è macchiata dal sangue di vittime innocenti, di colonne di profughi in fuga sotto le bombe, di bambini fatti a pezzi solo perché “portano il nome sbagliato”, donne stuprate ed uccise con un colpo alla nuca, puzza di cadaveri carbonizzati, nemici scuoiati e impalati dalle brigate di mujāhidīn accorsi a supporto della causa bosniaca, di biblioteche e luoghi di culto distrutti perché simboli di un passato comune. Uno schifo.
La morte di Tito (1980), dieci anni di feroce propaganda nazionalista ed il sogno malato di quattro presidenti-mascalzoni che volevano incarnare il mito di Tito e spartirsi terre e poteri, hanno distrutto una nazione fondata sul motto <Bratstvo i jedinstvo >, fratellanza e unità.
I Balcani sono stati un rivelatore della debolezza dell’Europa sul piano politico e del potere disinformativo dei media mainstream, spesso vittime della propaganda delle varie parti in conflitto. Serbi, Croati e Bosgnacchi non li abbiamo mai capiti perché ci mancavano le basi culturali elementari. Malgrado siano i nostri vicini, a scuola non studiamo la loro Storia. Anche i grandi inviati dei giornali – con cui ho a lungo collaborato – parlavano degli scontri a fuoco che avvenivano senza conoscere la storia del passato, senza profondità e conoscenza delle radici dell’odio. Solo in alcuni rari casi – Paolo Rumiz per esempio – crescere e lavorare a Trieste aveva dato utili strumenti di comprensione. I suoi articoli e i suoi libri furono un faro per molti di quelli che volevano davvero capire il presente ed il passato di quelle terre splendide e dannate. Non a caso, il termine <Balkan> deriva da due parole turche che significano miele <bal> e sangue <kan>.
Qui l’ONU ha dimostrato tutta la sua impotenza ed i media sono serviti a plagiare le masse, edulcorare tragedie ed esaltarne altre, creare falsi eroi e rinnovare paure ancestrali. Mentre il mondo versava calde lacrime per una singola bambina bosniaca ferita – Irma – mille altri bambini senza nome e senza volto venivano uccisi lontano dalle telecamere.
Avvolte in una nube protettiva di cloroformio, la propaganda e le menzogne create ad hoc continuarono ad essere somministrate a dosi da cavallo a lettori e telespettatori di mezzo mondo fino alla fine del conflitto. E la cosa vale anche per i conflitti attuali.
Belgrado fu la prima capitale di un Paese europeo bombardata dagli Alleati dopo la seconda guerra mondiale, e questo fu un grave crimine. Ma è Srebrenica – una delle enclave protette dall’Onu – la vera città martire dei Balcani. L’orrore si compie tra l’11 e il 15 luglio 1995. Le truppe di Ratko Mladic (3) la accerchiano mentre il Presidente bosniaco Izetbegovic rimuove inspiegabilmente dal comando il capo della difesa dell’enlave, Naser Oric. Questo punto è la chiave di tutto ma è stato volutamente insabbiato perché l’opinione pubblica e gli stessi giudici del Tribunale de L’Aja non sapessero. Vedi note al punto (4).
Il controspionaggio sapeva, il contingente ONU olandese osservava impotente e brindava coi carnefici, i satelliti spia fotografavano tutto ma gli aerei NATO non intervennero per colpire i tank serbi e difendere i civili. Perché? La verità é scomoda. A Zagabria il comandante francese dell’Unprofor, generale Bernard Janvier, si lasciava sfuggire una frase illuminante: <Messieurs, vous n’avec donc pas compris que je dois etre débarrassé de cet enclaves?>. Dunque le enclave erano scomode anche per chi aveva il mandato di proteggerle e quindi via libera alle spartizioni di territori secondo i criteri consolidati dai successivi accordi di Dayton.
Srebrenica ai serbi in cambio di Sarajevo ai bosgnacchi? Nessuno ammetterà mai una verità tanto cruda, ma in una guerra così sporca tutto è possibile.
Nell’instant book di Naser Oric – l’eroe/criminale bosniaco rimosso dal comando nel momento decisivo – è tutto narrato fino all’ultimo particolare, ma Il Presidente Izetbegovic fece ritirare e distruggere immediatamente il volume prima che alimentasse dubbi. Tuttora la questione è un tabù e l’aspra polemica venne sostenuta anche dal generale dell’Armija bosniaca Sefer Halilovic che dichiarò: <Srebrenica è stata venduta>. Anche lui si era macchiato del sangue di civili serbi nella zona di Srebrenica!
Questa storia è maledettamente sporca e contorta. Forse non sapremo mai la verità ma le migliaia di tombe del Memoriale di Potocari urlano giustizia e la condanna dei Serbi resterà per sempre scritta sui libri di Storia. (…)
Il capitolo continua sul mio libro di memorie che potere acquistare via web sulla piattaforma Blurb.com
Note:
(1) Ivo Andric era un importante romanziere jugoslavo che vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1961. I suoi scritti riguardavano principalmente la vita nella sua nativa Bosnia sotto il dominio ottomano.
(2) Mušan “Caco” Topalović (4 ottobre 1957 – 26 ottobre 1993) era comandante della decima brigata di montagna dell’esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina. Caco sapeva usare le armi. Prima della guerra era un contrabbandiere, un ladro e un gangster.
(3) Ratko Mladic, ex comandante serbo bosniaco accusato di crimini contro l’umanità e genocidio. Il 31 maggio 2011, Mladić è stato estradato a L’Aia. Più di vent’anni dopo Srebrenica e gli accordi di Dayton, dopo il verdetto sul generale, quello sul capo politico dei serbo-bosniaci Radovan Karadžić e la morte di Slobodan Milošević possiamo dire che giustizia è fatta? La risposta è più complicata di quanto possa sembrare.
(4) https://www.eastjournal.net/archives/64498






































