Livio Senigalliesi
Photoreporter

Kiev – Maidan 2014

Inchiesta

I miei giorni di fuoco in piazza Maidan

Tra barricate, lacrimogeni e spari di cecchini, il racconto degli scontri, le storie delle vittime ed un segreto che si scoprì alcuni anni dopo. EuroMaidan determinò l’inizio del conflitto in corso tra l’Ukraina e la Russia. Una guerra sempre più devastante e sanguinosa che vede le forze NATO schierate con Kiev. Ma altre oscure presenze al fronte confondono le acque con l’appoggio della stampa mainstream. Un numero enorme di mercenari combattono sulle due sponde e il pericolo di un’escalation con l’uso di missili ad ampio raggio allontana sempre più l’ipotesi di pace.

Partii per Kiev a metà febbraio del 2014. Da anni l’Ucraina era sull’orlo del baratro. Troppa corruzione e lotte intestine per il potere avevano messo in ginocchio uno Stato cuscinetto stretto tra la Russia e lo schieramento occidentale. Percorrendo in taxi la strada che porta dall’aeroporto Boryspil’ al centro di Kiev, mi colpì il senso di normalità. Nessuna tensione né dispiegamento di polizia. In precedenza avevo già documentato altrove colpi di Stato e rivoluzioni ma qui la situazione mi sembrò subito anomala.

Kiev era tranquilla. Nessun segno degli scontri che si vedevano in TV. Iniziai a innervosirmi ma il conducente del taxi mi faceva segno di pazientare. «Maidan, Maidan» ripeteva convinto. In effetti, giunti nei pressi di una grande piazza, il clima cambiò di colpo: barricate, lancio di sassi, bottiglie molotov…Manifestanti agguerriti vestiti con improvvisate divise militari incendiavano pneumatici e si confrontavano a distanza con ingenti forze di polizia in tenuta anti-sommossa, i Berkut, che sparavano bordate di lacrimogeni verso le barricate. Chi le aveva, indossava maschere antigas. Gli occhi mi bruciavano e non riuscivo a respirare. Cercai un luogo defilato dove riprendere fiato e iniziare a scattare le prime immagini. Fumo e fiamme rendevano lo scenario ancora più tragico.

I dimostranti apparivano ben organizzati. Alcuni preparavano pentoloni di minestra e bevande calde per scaldare la gente intirizzita dal gelo. C’erano settori di manifestanti con fasce giallo-blu (i colori nazionali) legate al braccio. Altri sembravano veri e propri reparti paramilitari che esibivano simboli runici di cui non capivo il significato. La coltre di fumo e la nebbia mi consigliarono di cercare un giaciglio per la notte per riposare e organizzare i contatti per il giorno successivo.

La mattina dopo, il fatidico 20 febbraio, ero in piazza intorno alle 8. La nebbia e la coltre di fumo erano ancora più dense. Sentii improvvisi colpi di fucile provenire da un palazzo vicino. La gente si nascose dietro le barricate. Molti, terrorizzati, cercavano di fuggire. Dopo qualche minuto iniziarono a sparare da alcune finestre dell’hotel Ucraina, un enorme palazzo che si affacciava sulla piazza. Due gruppi di cecchini prendevano di mira sia la polizia sia i dimostranti, cercando di provocare il caos. Sempre più corpi rimanevano a terra immobili. I feriti urlavano.

I manifestanti davano la colpa alla polizia e ai servizi segreti. Ma anche tra le file dei Berkut (polizia ndr), c’erano vittime e la confusione assaliva chiunque. Abituato alle zone di guerra, riuscivo comunque a svolgere il mio lavoro in mezzo al pericolo e alla confusione. Immortalai un sacerdote ortodosso che – sfidando le pallottole – camminava tra le barricate portando una croce tra le mani come se brandisse una spada.

I feriti venivano soccorsi con molta difficoltà. Le coperte usate per proteggersi dal freddo diventavano barelle improvvisate. La gente urlava e imprecava contro i cecchini. Avevano un tiro maledettamente preciso. Pensai subito che fossero dei tiratori scelti. Ripensai per un attimo all’inizio dell’assedio di Sarajevo dove correva voce che molti cecchini fossero stati scelti tra membri della squadra olimpica di Biathlon.

A Maidan gli scontri tra le fazioni contrapposte ripresero ancora più furiosi. Poi, d’un tratto, i cecchini smisero di sparare. Come se un ordine superiore fosse giunto via radio. La coltre venefica dei gas lacrimogeni iniziò a coprire ogni cosa. Respirando con sempre maggiore difficoltà, caddi a terra tra le convulsioni.

Un gruppo di manifestanti si avvicinò prontamente pensando che fossi ferito e mi caricò su un’auto diretta in ospedale. Al pronto soccorso mi somministrarono medicinali e ossigeno ed eseguirono una radiografia al torace. Il reparto di pronto soccorso era intasato dai feriti lasciati in attesa sul pavimento. Nelle ore seguenti iniziai a riprendermi e a riflettere su quanto visto e documentato in piazza. Ebbi la netta impressione che quella in corso a Maidan non fosse una rivoluzione ma un golpe ben organizzato.

I medici mi consigliarono di tornare subito in Italia e di effettuare con urgenza controlli all’apparato respiratorio. In quelle condizioni era inutile restare. Solo molto tempo dopo venni a sapere che i cecchini che sparavano dai tetti e dalle finestre dell’Hotel Ucraina erano mercenari georgiani ingaggiati dal consigliere militare dell’ex presidente Saak’ashvili.

Gli scontri di Maidan non erano frutto dell’insofferenza popolare contro il regime ma si trattava di un piano complesso studiato dal Pentagono per destabilizzare l’Europa e porre le basi della NATO a ridosso del confine russo. Nella costruzione del progetto, che minava definitivamente le sorti dell’Ukraina, aveva un ruolo anche l’ex-Presidente georgiano Mikheil Saak’ashvili che già nel 2008 aveva cercato di realizzare un attacco simile contro la Repubblica di Ossezia per saggiare le capacità di reazione della Russia.

Saak’ashvili, georgiano di origini ukraine, aveva studiato negli USA ed aveva buoni appoggi nel Dipartimento di Stato americano. Durante la Guerra del Golfo del 2003, il Presidente georgiano aveva messo a disposizione delle truppe in appoggio alla Coalizione Occidentale e nel 2008 le truppe statunitensi restituivano il favore appoggiando il tentativo georgiano di annettere l’Ossezia. I reparti dell’esercito russo reagirono in modo devastante annientando i soldati georgiani e i loro “consiglieri militari” statunitensi. Il messaggio era chiaro: il giardino di casa dello Zar non si tocca…

Da molti documenti e interviste, negli ultimi anni, si è reso sempre più evidente che la guerra in atto tra Kiev e Mosca è iniziata molto prima del 2022. Euromaidan è stato in sostanza un “casus belli” cui hanno partecipato settori di estrema destra ukraini (Azov, Pravi Sector) che erano stati addestrati in Polonia da “consiglieri militari” appartenenti a Paesi della NATO. Lo schema si ripete: fomentare movimenti di piazza infiltrati da “specialisti” esterni. I media mainstream danno visibilità e supportano il “regime change” e infine entrano in campo i militari.

Dopo l’elezione del presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2014, Ucraina, Russia e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) stipularono gli Accordi di Minsk per concordare un pacchetto di misure di contenimento della escalation della guerra nel Donbass. Il processo negoziale non fu facile. Quando sembrava che le parti avessero raggiunto un compromesso, il diretto intervento del Primo ministro britannico Boris Johnson fece saltare il tavolo. La Gran Bretagna non voleva compromessi con la Russia. Johnson promise di appoggiare con uomini e mezzi il fragile esercito di Kiev. Anzichè entrare in gioco la diplomazia, la NATO dispiegò sempre più uomini e mezzi. Le truppe ukraine vennero addestrate all’uso di armi tecnologiche e lo scontro divenne sempre più chiaramente una guerra per procura tra il blocco occidentale e la Russia.

Dal 24 febbraio del 2022, a seguito dell’invasione dell’Ukraina da parte delle Forze armate russe, la guerra del Donbass (iniziata nel 2014) è di fatto da intendersi inclusa nelle più ampie dinamiche del sanguinoso conflitto ancora in corso.

Gli Stati membri della Comunità Europea e la stessa Presidente Ursula Von del Leyen non hanno compiuto alcuno sforzo per portare ad un cessate-il-fuoco ed anzi hanno fornito un continuo supporto al governo di Kiev. Dal punto di vista militare, lo scontro é sempre più duro e sanguinoso. 7milioni di ukraini sono profughi in vari Paesi europei. La distruzione di abitazioni civili, ospedali e infrastrutture continua senza tregua. Il numero delle perdite sul fronte russo e ukraino non è calcolabile in quanto tutto è segreto o coperto dalla propaganda. La guerra, sempre più sofisticata e tecnologica, ha consentito alle due forze in campo di raggiungere anche obiettivi in profondità grazie all’uso di missili e droni. L’esito dello scontro resta incerto.

Testo e fotografie di Livio Senigalliesi

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