I miei giorni di fuoco in piazza Maidan
Tra barricate, lacrimogeni e spari di cecchini, il racconto degli scontri, le storie delle vittime ed un segreto che si scoprì alcuni anni dopo. EuroMaidan determinò l’inizio del conflitto in corso tra l’Ukraina e la Russia. Una guerra sempre più devastante e sanguinosa che vede le forze NATO schierate con Kiev. Ma altre oscure presenze al fronte confondono le acque con l’appoggio della stampa mainstream. Un numero enorme di mercenari combattono sulle due sponde e il pericolo di un’escalation con l’uso di missili ad ampio raggio allontana sempre più l’ipotesi di pace.
Partii per Kiev nel febbraio del 2014. Da anni l’Ucraina era sull’orlo del tracollo. Troppa corruzione e lotte politiche intestine per il potere hanno messo in ginocchio uno Stato cuscinetto stretto tra la Russia e lo schieramento occidentale. Percorrendo in taxi la strada che porta dall’aeroporto Boryspil’ al centro di Kiev, mi colpì il senso di normalità. Nessuna tensione né dispiegamento di polizia. Altrove, in precedenza, avevo già documentato colpi di Stato e rivoluzioni ma qui la situazione mi parve subito anomala.
Kiev era tranquilla. Troppo tranquilla. Nessun segno degli scontri che si vedevano in TV. Iniziai a innervosirmi ma il conducente del taxi mi faceva segno di pazientare. «Maidan, Maidan» ripeteva convinto. In effetti, giunti nei pressi di una grande piazza, il clima cambiò di colpo: barricate, lancio di sassi, bottiglie molotov…Manifestanti agguerriti vestiti con improvvisate divise militari si confrontavano a distanza con ingenti forze di polizia in tenuta anti-sommossa, i Berkut, che sparavano bordate di lacrimogeni verso le barricate. E che lacrimogeni: erano potentissimi gas irritanti militari, gas CS, che avevo già sperimentato in zone di guerra.
Chi le aveva, indossava maschere antigas. Gli occhi mi bruciavano e io non riuscivo a respirare. Cercai un luogo defilato dove riprendere fiato e iniziare a scattare le prime immagini. Fumo e fiamme rendevano lo scenario ancora più tragico.
I dimostranti apparivano ben organizzati. Alcuni cucinavano grandi pentoloni di minestra e bevande calde per scaldare la gente intirizzita dal gelo. Altri preparavano bombe molotov. C’erano settori di manifestanti con fasce giallo-blu legate al braccio. Simboli a me sconosciuti, simili alle rune naziste Eihwaz, identificavano manifestanti che mi ricordavano veri e propri reparti paramilitari. La coltre di fumo e la nebbia mi consigliarono di cercare un giaciglio per la notte per riposare e organizzare i contatti per il giorno successivo.
La mattina dopo, il fatidico 20 febbraio, ero in piazza intorno alle 8. La nebbia e la coltre di fumo erano ancora più dense. Sentii improvvisamente colpi di fucile provenire da un palazzo vicino. La gente si nascose dietro le barricate. Molti, terrorizzati, cercavano di fuggire. Dopo qualche minuto iniziarono a sparare da alcune finestre dell’hotel Ucraina, un enorme palazzo che si affacciava sulla piazza. Due gruppi di cecchini prendevano di mira sia la polizia sia i dimostranti, cercando di provocare il caos. Sempre più corpi rimanevano a terra immobili. I feriti urlavano.
I manifestanti davano la colpa alla polizia e ai servizi segreti. Ma anche tra le file dei Berkut (polizia ndr), c’erano vittime e la confusione assaliva chiunque, anche me. Abituato alle zone di guerra, riuscivo comunque a svolgere il mio lavoro in mezzo al pericolo e alla confusione. Immortalai un sacerdote ortodosso che – sfidando le pallottole – camminava tra le barricate portando una croce tra le mani come se brandisse una spada.
I feriti venivano soccorsi con molta difficoltà. Le coperte usate per proteggersi dal freddo diventavano barelle improvvisate. La gente urlava e malediceva i cecchini. Gli scontri tra le fazioni contrapposte ripresero ancora più furiosi. Poi, improvvisamente, gli spari dei cecchini cessarono: la coltre venefica dei gas lacrimogeni iniziò a coprire ogni cosa. Respirando con sempre maggiore difficoltà, caddi a terra tra le convulsioni.
Un gruppo di manifestanti si avvinò prontamente. Pensavano fossi ferito e mi caricarono su un’auto diretta in ospedale. Al pronto soccorso mi sottoposero ad una lastra al torace e mi somministrarono medicinali e ossigeno. Nelle ore seguenti iniziai a riprendermi e a riflettere su quanto visto e documentato in piazza. Ebbi la netta impressione che, più di una rivoluzione, a Maidan stesse andando in scena un golpe ben organizzato.
I medici mi consigliarono di tornare in Italia con urgenza e di effettuare controlli all’apparato respiratorio. In quelle condizioni era inutile restare. Solo alcuni anni dopo venni a sapere che i cecchini che sparavano dai tetti e dalle finestre dell’Hotel Ucraina erano mercenari georgiani.
Non si era trattato di un episodio nato dall’insofferenza popolare contro il regime ma di un piano complesso ed intricato studiato gia nel 2004 dal Pentagono per destabilizzare l’Europa e porre le basi NATO a ridosso del confine russo. Alla costruzione del progetto, che minava definitivamente le sorti dell’Ukraina, c’erano reparti nella NATO schierati in Polonia e personaggi marginali come l’ex-Presidente georgiano Mikheil Saak’ashvili che già nel 2008 aveva cercato di realizzare un attacco contro la Russia con l’appoggio di truppe statunitensi.
Da molti documenti e interviste, negli ultimi anni, si è reso sempre più evidente che la guerra in atto tra Kiev e Mosca è iniziata molto prima del 2022. Euromaidan è stato in sostanza un “casus belli” cui hanno partecipato settori di estrema destra ukraini (Azov, Pravi Sector) che erano stati addestrati in Polonia da “consiglieri militari” appartenenti a Paesi della NATO.
Nel 2014 i gruppi più attivi e armati dell’estrema destra, che già erano stati protagonisti degli sconti in piazza Maidan, si affiancarono a reparti dell’esercito ukraino e attaccarono la regione del Donbass. I paramilitari del Battaglione Azov diventarono tristemente famosi per i crimini spietati contro i civili russofoni. Separatisti russi sostenuti da Mosca reagirono ed ebbe inizio un sanguinoso scontro armato che ha causato migliaia di vittime civili. I media trascurarono la portata della crisi e le stragi di civili passarono inosservate.
Dopo l’elezione del presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2014, Ucraina, Russia e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) stipularono gli Accordi di Minsk per concordare un pacchetto di misure di contenimento della escalation della guerra nel Donbass. Il processo negoziale non fu facile. L’OSCE in questo processo aveva il compito di osservare e verificare il cessate-il-fuoco e il ritiro degli armamenti pesanti.
Ma queste mediazioni non sortirono l’esito sperato. Dal 24 febbraio del 2022, a seguito dell’invasione dell’Ukraina da parte delle Forze armate russe, la guerra del Donbass è di fatto diventata l’epicentro di un vasto e devastante conflitto che è ancora in corso.
Gli Stati membri della Comunità Europea e la stessa Presidente Ursula Von del Layen non hanno fatto alcuno sforzo per portare ad un cessate-il-fuoco ed anzi sono divenuti parte attiva del conflitto fornendo a Kiev uomini, armi e apparati d’intelligence. Davvero una triste pagina della nostra Storia contemporanea.
Testo e fotografie di Livio Senigalliesi