Viaggio nel sud del Libano tra villaggi distrutti e cluster bombs. Di Livio Senigalliesi
Tiro, estate 2007 “La Convenzione di Ginevra parla chiaro”, afferma Dalya Farran, portavoce del Mine Action Center di Tiro, “E’ proibito usare bombe a grappolo su obiettivi civili. Guardate questi villaggi di contadini. Sono stati bombardati con cluster bomb durante le ultime 72 ore del conflitto dell’estate 2006. È stato un atto deliberato per impedire ai profughi di rientrare nelle loro case. Ci vorranno anni d’intenso e rischioso lavoro per bonificare le zone colpite”. Malgrado la “pace”, continua nel Sud del Libano la conta delle vittime, tutte civili. Per gli sfollati fuggiti in altre zone del Libano a causa dell’offensiva israeliana, la voglia di tornare alle proprie case e ai campi da coltivare è più forte della paura e risulta spesso fatale. Lungo la strada che porta al confine di Naqoura e nelle zone dell’interno, cartelli scritti in arabo o semplici fettucce di plastica rossa segnalano dappertutto il pericolo. «Non avvicinatevi! Pericolo di morte!». Bisogna camminare solo sull’asfalto. Gli ordigni sono sparsi ovunque: tra le case, nelle scuole, lungo le strade. Un semplice gesto può costare la vita.
Le attività agricole rimarranno a lungo bloccate e si perderanno i raccolti: i campi sono infestati dalle mine disseminate a caso dagli aerei e dall’artiglieria israeliana. Nel villaggio di Touline, sulle montagne brulle dell’interno, hanno recentemente perso la vita cinque contadini che tentavano di rimuovere gli ordigni piovuti dal cielo sui loro campi di tabacco. “Di che vivremo nei prossimi mesi? A chi chiederemo il rimborso dei danni?” grida Hassan, distrutto dal dolore per la perdita dei parenti. A bordo di un mezzo dell’Onu seguo sul terreno l’attività di bonifica di un team di sminatori. Il boato delle esplosioni e la corsa delle ambulanze ci accompagnano lungo tutto il viaggio nelle aree più a rischio a ridosso della zona di confine. Villaggi come Srifa e Ghandouriye – nei pressi della nuova base del contingente italiano – sono ridotti ad un cumulo di macerie. Più dell’80% delle case è andato distrutto. Sembrano gli esiti di un terremoto.
Volontari e abitanti del luogo si affannano da giorni per rimuovere i detriti. Due sminatori dell’esercito libanese sono stati dilaniati dall’esplosione di cluster bomb a Deir Kifa. Giungono notizie di altre vittime a Soultaniye, uno dei villaggi più bombardati, nei pressi di Tebnine. Proprio qui, sfidando il monito degli esperti del Mine Action Center, è stato gravemente ferito tra le macerie della sua casa il giovane Hussein Ali Kdouh, uno studente di 17 anni. La sorella Racha racconta: “Eravamo fuggiti dal villaggio all’inizio dei bombardamenti. Siamo tornati il 27 agosto e abbiamo trovato la casa distrutta. Non sappiamo dove dormire, non ci hanno dato neanche una tenda. Siamo disperati”.
Secondo fonti ufficiali diffuse dal Mine Action Center delle Nazioni Unite di Tiro, sono 448 le zone ad alto rischio in tutto il Sud del Libano a causa degli ordigni inesplosi. In questo drammatico contesto opera un team di sminatrici molto speciali. Sono 6 giovani donne libanesi che vogliono dare in prima persona il loro contributo alla pace e alla sicurezza del territorio martoriato e reso invivibile dalle cluster-bombs israeliane. Zeinab, Sara, Fatima, Munia e Rahil hanno dai 19 ai 30 anni, uno straordinario spirito di gruppo e sprezzo del pericolo. “Qui si vive alla giornata” dicono. “Non ci facciamo grandi illusioni. Questo Paese è sempre sull’orlo del precipizio. Quelli che possono se ne vanno. C’è aria di guerra civile”