Brano tratto dal libro “Diario dal Fronte” di Livio Senigalliesi
Gli effetti della Perestroika gorbacioviana ed i cambiamenti innescati dalla caduta del Muro scandivano le ultime ore del Comunismo.
Arrivo a Mosca, appena in tempo, prima che la situazione precipiti, con l’ultimo volo da Roma.
Il Press-Pass rilasciato dal Ministero dell’Informazione – ancora una volta grazie a Il Manifesto – mi consente di entrare al Cremlino mentre in Piazza Rossa si radunano migliaia di manifestanti con cartelli che chiedono cambiamenti e la fine del regime.
Con il vistoso accredito al collo, supero i vari controlli di sicurezza e riesco a fotografare l’ultima riunione del Soviet Supremo. I Delegati delle varie Repubbliche hanno il volto teso.
Un grande busto di Lenin, posto in un angolo del grande salone, guarda la scena in silenzio. Chissà cosa direbbe se potesse parlare!
Si spalancano improvvisamente le grandi porte in legno massiccio del salone dove avviene la riunione dei Delegati e colgo Gorbaciov col lo sguardo atterrito.
Scatto 6 foto in sequenza, poi vengo allontanato rudemente dalla scorta. Circondato da un gruppo di agenti del KGB, Gorbaciov abbandona urlando il Palazzo e sparirà – in perfetto stile sovietico – per alcuni giorni nella sua dacia in Crimea.
Quando esco dalle mura del Cremlino, sento in lontananza rumore di cingoli di carri armati. La Piazza Rossa è gremita da gente inferocita che attende i Deputati all’uscita. Inveiscono, volano sputi, uova marce e monetine. La bandiera rossa con falce e martello sventola ancora sui palazzi del potere, ma l’ora della fine si avvicina.
Verso i ponti sulla Moscova è tutto bloccato. Mezzi corazzati avevano nel frattempo preso possesso dei punti nevralgici della capitale.
Sono ore decisive e scatto, scatto molto, in diapositiva e Tri-X (1), cercando di fissare momenti tragici o più semplicemente “scene di un golpe”. Era la prima volta che mi trovavo dentro un tale casino e l’adrenalina scorreva forte nelle vene.
Nel corso della notte viene dichiarato il coprifuoco ma molti dimostranti restano nei pressi della piazza Smolenskaja e marciano sul Parlamento. Vogliono alzare barricate.
Le forze speciali sparano sulla folla e tre giovani restano sul selciato. I blindati corrono veloci lungo i grandi viali che portano alla Duma. La resistenza improvvisata da reduci dell’Afghanistan, cittadini comuni e giovani alternativi anti-regime, riesce ad arginare gli attacchi delle forze di sicurezza fino al mattino quando giornalisti e televisioni di tutto il mondo accorrono per documentare gli scontri.
La scenografia è unica. Dalle barricate in fiamme spuntano bandiere della Russia, dello Zar e crocefissi, mentre vecchie babushke improvvisano cucine da campo per rifocillare i resistenti.
Secondo le modalità di lavoro allora in uso, inizio a preparare una busta con i rulli impressionati ed appunti che possono aiutare la redazione a didascalizzare le immagini.
Ho del materiale unico. Prendo accordi telefonici anche con i settimanali interessati al servizio a colori. Le foto in bianco e nero sono per la redazione de Il Manifesto.
Cerco di arrivare all’aeroporto per vedere se trovo qualcuno che porti la preziosa busta a Roma. A bordo di un taxi superiamo un’infinità di posti di blocco finché giungiamo all’aeroporto Sheremetyevo.
In mezzo alla confusione incrocio un equipaggio della compagnia di bandiera italiana diretto a Roma. E’ l’ultimo volo e affido il prezioso pacco al Comandante con preghiera di recapitarlo in Via Tomacelli, alla redazione de Il Manifesto. Lui promette la massima cura ma quei rulli non arrivarono mai a destinazione.
Sono gli incerti del mestiere e questi “incidenti”, a quei tempi, accadevano spesso. D’altronde la scelta era tra il rischio di farseli confiscare dalle forze di sicurezza o affidarsi al caso. Lavorai ancora 20 giorni tra le strade di Mosca, immortalando l’avvento di Eltsin, la chiusura della mitica Pravda ed i funerali dei giovani uccisi dagli OMON (2) durante gli scontri. Un milione di moscoviti parteciparono alle esequie che furono l’occasione per rivedere vecchi simboli zaristi. Era un momento di grande dolore e confusione.
Memorabili sono le foto scattate a Eltsin mentre arringa la folla e sventola la bandiera russa circondato dalla scorta armata. Fu una ‘operazione d’immagine’ ben riuscita in uno dei suoi pochi momenti di lucidità. Era ben nota la sua passione per la vodka e le disdicevoli figuracce pubbliche dovute alle micidiali sbornie.
Mentre nella capitale si giocavano le sorti del Paese, milioni di russi restavano tagliati fuori dal corso degli eventi e nelle sconfinate pianure che portano alla lontana Siberia il tempo scorreva lento e la gente avrebbe saputo le notizie a cose fatte, come in passato.
Il 23 di agosto sono dentro il Cremlino durante l’ultima riunione della Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche quando un arrogante Eltsin impone a Gorbaciov di sottoscrivere la fine del Comunismo.
E’ scioccante presenziare a momenti tanto decisivi per il futuro di una grande Nazione.
Le promesse di democrazia e di una radicale apertura all’economia di mercato si riveleranno una farsa. La fine dei Soviet coinciderà con l’inizio di un regime oligarchico gestito da una ristretta cerchia di vecchi uomini degli apparati e giovani arrampicatori sociali senza scrupoli che sfruttano le privatizzazioni per arraffare i beni dello Stato.
Molti dei nuovi ricchi trasferirono miliardi di dollari fuori dal Paese, generando un’enorme fuga di capitali. La recessione economica portò al collasso dei servizi sociali. Milioni di persone furono ridotte in miseria. Da un tasso di povertà del 1,5% in epoca tardo sovietica si passò al 49% entro la metà del 1993.
Gli anni novanta videro il dilagare di una corruzione estrema e di un’illegalità senza freni.
La disgregazione dell’URSS portò al sorgere di nazionalismi e di gruppi armati in particolare nelle Repubbliche Caucasiche che Eltsin cercò di reprimere inutilmente nel sangue.
La crisi economica e gli anni di malgoverno di Eltsin avevano portato il Paese sull’orlo del baratro e per ridare alla Russia il ruolo che le compete sullo scacchiere internazionale, era necessario un uomo forte: Vladimir Putin, ex colonnello del KGB, il 31 dicembre 1999 diventa Presidente della Federazione Russa. Si sbarazza della vecchia oligarchia e dei nuovi nemici e comanda ancora oggi coi poteri di uno Zar.
Note:
- Tri-X = pellicola in bianco e nero
- OMON = reparti speciali della polizia russa